Valsinni è un piccolo borgo lucano della provincia di Matera, famoso perché qui si consumò la breve e struggente vicenda terrena della poetessa cinquecentesca Isabella di Morra, ma che merita di essere conosciuto anche per altri motivi. È infatti arroccato a 250 metri slm su un’estrema propaggine nord orientale del parco nazionale del Pollino, tra il fiume Sinni e il Monte Còppolo (970 mt), luoghi di grande valenza tanto naturalistica quanto mitologica. Il Sinni corrisponde a quello che gli abitanti della Magna Grecia (e poi i romani) chiamavano Siris: alla sua confluenza con il Sarmento, almeno secondo quanto racconta il lirico greco Archiloco, Ercole avrebbe ucciso l'idra, il velenoso serpente a nove teste. Il Sinni è il quarto fiume della Basilicata per lunghezza (94 km), ma il secondo per bacino imbrifero, tanto che disseta la Basilicata e parte della Puglia. Un corso d'acqua torrentizio, spesso impetuoso (la piena delle sue acque travolsero i soldati e gli elefanti di Pirro), la cui violenza è stata però imbrigliata nel 1983 con la costruzione della più grande diga d'Europa in terra battuta, quella di Monte Cotugno, lunga circa 1850 metri, alta 60 e larga alla base 260.

Il monte Còppolo, invece, conserva sulla sua cima i resti delle mura di una città fortificata nel IV secolo a.C. con possenti blocchi squadrati, e che pare essere rimasta abitata fino al Medioevo: alcuni studiosi l'hanno identificata con la greca Lagaria, città-fortezza che le fonti antiche citano tra Sibari, il fiume Sinni e Grumentum (la radice del nome di Lagaria sta per “terreno franoso per le pietraie”) e che, secondo la leggenda, sarebbe stata fondata da Epeo, al suo ritorno da Troia dove era stato il costruttore del mitico cavallo.

Valsinni fino al 1873 si chiamava Favale, nome attestato con il nome di Fabalis, Favacie, Favacia in atti del 1092-1093, del 1171 e del 1177. Il paese, che la tradizione vuole essere stato fondato dai profughi di Serra Maiori, nei secoli è appartenuto ai Sanseverino, ai Morra, ai Galeota e ai Galluccio. Un borgo sempre rimasto piuttosto povero, che vanta una sua tradizione di mugnai, simbolo della quale è il Mulino di Palazzo Mauri dove si trovano grosse vecchie macine di pietra.

Di notevole suggestione è il borgo antico, raccolto in posizione pittoresca sui fianchi di uno sperone roccioso che domina la gola del Sinni ed è sovrastato dal castello baronale dei Morra, il monumento più importante del paese, di aspetto aragonese ma già esistente in epoca longobarda (oggi è molto alterato): proprio fra le sue mura nella prima metà del XVI secolo abitò e fu confinata la poetessa Isabella Morra, figlia del feudatario locale. Il nucleo storico è percorso da un reticolo di stretti vicoli spesso collegati tra loro da un caratteristico “gafio”, ovvero un passaggio coperto da una volta. Interessante la chiesa Madre dedicata all'Assunta, con i suoi affreschi, l'organo, un crocifisso del Cinquecento, un presepe in stile napoletano e soprattutto le reliquie di san Fabiano, papa martire nominato a furor di popolo il 10 gennaio del 236 e morto il 20 gennaio del 250 durante le persecuzioni dell’imperatore Decio. San Fabiano è infatti dall'inizio del XVIII secolo il patrono di Valsinni, dove viene celebrato non una ma due volte all'anno: la festa liturgica è fissata al 20 gennaio, giorno del martirio, quando si svolgono le celebrazioni religiose e una prima processione, mentre il 10 maggio si tengono i riti civili con la fiera e la sfilata accompagnata dalla banda. L'origine del culto risale alla visita nel 1704 dal vescovo della diocesi di Anglona e Tursi, che a Favale portò in dono la reliquia dell’osso di un braccio di Fabiano e suggerì di farne il protettore del paese. Il consiglio fu accettato e subito il nome Fabiano divenne il più diffuso fra i nuovi battezzati del luogo, mentre una colletta generale consentì presto di commissionare una statua del santo alla bottega dello scultore napoletano Giacomo Colombo. Costata 17 ducati, la statua di san Fabiano giunse via mare a Maratea, da dove fu portata a dorso di mulo sino a Favale, futura Valsinni. Vi arrivò il 28 novembre del 1717 e da allora è venerata nella Chiesa Madre, da cui esce il pomeriggio del 10 maggio per essere portata a spalla dagli uomini lungo le strade del paese, seguita dalla reliquia del braccio che è invece affidata alle “vacandij”, le ragazze locali non ancora sposate.

Testo: Roberto Copello  Foto: Antonietta Dursi

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