Eroe romantico o spietato criminale? Se ogni paese d'Italia ha la sua leggendaria figura da ricordare, un personaggio ai limiti del mito che rappresenti in qualche modo la storia locale, nessuno ne ha una più controversa di quella che si è incisa nella memoria della popolazione di Tignale. Qui in oltre quattro secoli non si è mai smesso di rievocare il bandito Zanzanù, al secolo Giovanni Beatrice, il temuto bandito nato a Gargnano nel 1576 e che a inizio Seicento spadroneggiò fra la veneziana riviera di Salò e l'alto Garda trentino, tenendo testa per una quindicina d'anni alla Repubblica di Venezia. Leggende orali e luoghi fisici ne perpetuano il ricordo, le cui tracce sono riproposte in sentieri, grotte e persino chiese. Ottenendo il paradosso per cui nel più panoramico e venerato santuario dell'Alto Garda spesso riceve maggiore attenzione l'enorme quadro ex voto che ritrae la fine di Zanzanù che non l'affresco principale dedicato alla Madonna che dal 1950 è stata proclamata “castellana” di tutto il Lago di Garda. Si tratta del Santuario di Montecastello, icona paesistica di Tignale, che sorge in strepitosa posizione su uno spuntone di roccia calcarea a picco sul lago, e che si raggiunge dal paese per una ripida strada costeggiata da cappelle che illustrano i misteri del Rosario.
Numerose le grazie miracolose che nei secoli la popolazione tignalese ha ritenuto di aver ricevuto dalla Madonna di Montecastello: lo attestano i numerosi e spesso antichissimi ex voto conservati nel santuario. Fra i quali figura il più famoso, il quadro commissionato dal Comune al pittore bresciano Giovanni Andrea Bertanza, dopo che Tignale nell'agosto 1617 era stata liberata dalla minaccia di Zanzanù, bandito al quale la vox populi arrivò ad attribuire addirittura 200 omicidi commessi fra il 1602 e il 1617. In realtà, come hanno accertato gli storici, il fuorilegge uccise assai meno persone, in un contesto di faide familiari scoppiate fra i Beatrice e i Sette di Monte Maderno, dunque per difendere il proprio onore e anche per vendicare la morte del padre. Una figura ambigua, insomma, la cui rivolta contro l'ordine sociale dell'epoca ha favorito la sua successiva identificazione con una specie di Robin Hood locale, che sì derubava i viandanti e assaltava le barche di passaggio, ma che era inviso a signorotti locali che spesso vessavano la popolazione, dalla quale non a caso spesso Zanzanù veniva nascosto e protetto. Tra i suoi rifugi montani si ricorda la grotta detta Cuel Zanzanù in località Martelletto.
Il bandito alla fine fu ucciso il 17 agosto 1617, dopo una furiosa sparatoria in cui morirono tre uomini della sua banda e sei fra i tignalesi che lo inseguivano. Il quadro nel santuario ritrae drammaticamente proprio gli ultimi istanti di vita del bandito del lago, in quello che è il più grande ex voto d'Italia, forse d'Europa. La precisione dei dettagli ha fatto ipotizzare che l'autore del quadro, il pittore Bertanza, avesse preso parte in prima persona alla caccia e all'uccisione del fuorilegge, e che addirittura si sia autoritratto nel personaggio che rivolge uno sguardo incredulo a chi osserva il dipinto. Altro particolare curioso, il volto di chi uccise Zanzanù è stato cancellato dal dipinto, e se ne vedono solo gli stivali e l'archibugio: impossibile sapere se sia accaduto in segno di spregio verso chi liberò la riviera dal bandito, oppure per nasconderne l'identità e tutelarlo da vendette da parte degli amici di Zanzanù.
Zanzanù a parte, il santuario di Montecastello è un piccolo gioiello, interessante anche da un punto di vista artistico. Le sue origini sono incerte ma sicuramente medievali. Anche se sul posto sono stati trovati resti archeologici di un edificio di culto del IX secolo, la tradizione racconta vuole che una prima chiesa sarebbe stata costruita nel 1283, dopo un'apparizione luminosa avvenuta durante una battaglia fra trentini e bresciani. La prima data certa è però il 1458, anno che compare su uno dei due affreschi nei locali sotto il santuario, quello che rappresenta la Madonna col Bambino e san Sebastiano (l'altro affresco raffigura la Madonna in trono con il vescovo trentino Vigilio). La monumentale scalinata di accesso al santuario, su due rampe, risale al 1599, quando fu costruito l'attuale santuario, il cui interno fu poi ampliato sul finire del Seicento. L'attuale facciata è del 1903, e il tutto è stato oggetto di un restauro nel 2008. La chiesa, sovrastata da una cupola in rame, ha tre navate. Quella centrale comprende una soasa, una struttura con statue lignee realizzate da intagliatori trentini che adorna la cosiddetta Casa Santa, in pietra: questa, dietro l'altare maggiore, conserva un'affresco trecentesco di scuola giottesca raffigurante Gesù che incorona la Madre. Attorno all'affresco, quattro medaglioni dipinti su rame, di scuola palmesca, rappresentano episodi della vita della Vergine. Notevoli anche due altari nelle navate laterali, con i loro ricchi altari lignei del Seicento, dedicati alla Madonna di Loreto e a San Giuseppe. Sono pure presenti alcuni quadri attribuibili al pittore veneziano Andrea Celesti. Per chiudere, una nota dolente: il santuario recentemente aveva ricevuto preziose reliquie di papa Giovanni Paolo II e del martire polacco padre Popieluszko, ed era per questo divenuto meta anche di numerosi pellegrini che giungevano persino dalla Polonia. Purtroppo queste reliquie sono state rubate nel 2017 da ignoti ladri penetrati nel santuario e a tutt'oggi non sono state ancora recuperate.
Testo: Roberto Copello - Foto: Ufficio unico del turismo
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