Un tempo se ne parlava soprattutto perché vi nacque san Carlo Borromeo, più di recente perché nella frazione Dagnente vi è stato sepolto Mike Bongiorno. Quale dei due eventi rappresenta di più l'identità di Arona nel XXI secolo? L'unico autorizzato a rispondere, se ancora fosse fra noi, sarebbe forse Umberto Eco, che fra le sue mille competenze ben conosceva la storia (come prova il suo bestseller Il nome della Rosa) e ben sapeva analizzare i fatti di costume (come attesta il suo famoso saggio Fenomenologia di Mike Bongiorno). Eco poi era piemontese (seppur mandrogno, ovvero di Alessandria), passav spesso l'estate sul Lago d'Orta (non lontano da Arona) e risiedeva a Milano: dunque sarebbe stato abbastanza autorizzato a occuparsi di un luogo all'estremità meridionale della sponda piemontese del Lago Maggiore ma nella sua storia sempre più legato a Milano che Torino.
Non a caso, furono proprio famiglie milanesi in fuga dal Barbarossa a trasformare in città, nel 1162, l'insediamento lacustre che fino ad allora, pur già abitato nel Neolitico, aveva visto soltanto le ville di qualche ricco romano, prima, e un'abbazia romanica, poi. Così, a lungo amministrata dai benedettini, Arona si legò al ducato di Milano (fino al 1395) e poi appartenne ai Borromeo (dal 1439 al 1797), la famiglia della nobiltà milanese che attorno al Lago Maggiore governò per secoli un feudo esteso per mille chilometri quadrati, con Arona e la dirimpettaia Angera sedi del conte e del marchese. In realtà, più che di un feudo si trattava di una sorta di “stato” dotato di grandissima autonomia, importante dal punto di vista strategico (come provano le rocche e i castelli allineati lungo il lago) e che controllava i commerci lacustri tra la Pianura Padana e il Canton Ticino, avendo proprio ad Arona la redditizia sede del dazio. Fu un dominio che il passaggio via via di spagnoli, austriaci e piemontesi non inficiarono mai, e cui pose fine solo l'occupazione napoleonica del 1797. Le vicende successive al Congresso di Vienna videro Arona entrare nell'orbita dei Savoia, dunque del Piemonte, mentre anche dal punto di vista ecclesiale la sponda piemontese del Verbano veniva aggregata alla diocesi di Novara.
Oggi dunque Arona, diventata più periferica che in passato (ma resta comunque la quinta città della provincia di Novara), si propone non più solo come centro commerciale ma anche turistico, stretta fra il lago e la collina del Vergante. Con tanti monumenti che attestano il suo illustre passato, non solo di emporio ma di centro religioso e artistico. Vale la pena di iniziare la visita dal lungolago, da cui si ha una bella vista sulla rocca borromaica di Angera, che domina la prospiciente sponda lombarda. Presso il lago c'è Piazza del Popolo, l'antica piazza del mercato, con i portici ad archi acuti della Casa del Podestà e la manieristica chiesa della Madonna di Piazza, ovvero di S. Maria del Loreto, ma detta anche Santa Marta, voluta da Federico Borromeo nel 1592, attribuita da a Pellegrino Tibaldi mentre la scalinata a due rampe è opera del milanese Francesco Maria Richini.
Ci si addentra quindi nelle stradine del borgo e nell'isola pedonale, raggiungendo Piazza San Graziano, dove si affacciano i due piccoli ma interessanti musei cittadini: il Museo mineralogico e il Museo archeologico (aperti sabato e domenica pomeriggio). Il primo, nato nel 1983 e intitolato alla memoria dell'architetto Antonio Mora, privilegia l'aspetto didattico, illustrando gli aspetti della mineralogia, i fenomeni geologici vulcanici, sedimentari e metamorfici, ma anche facendo conoscere i sorprendenti “tesori” del distretto mineralogico dell'Ossola e di Baveno, dalla rara Bavenite allo smeraldo della Val Vigezzo, dall'acquamarina di Trontano alla piromorfite del Vergante. Inoltre, una postazione video con un microscopio stereo e uno schermo permette di proiettare immagini di minerali ingranditi e coloratissimi. Il Museo archeologico di Arona, inaugurato nel 1997 nella manica sinistra dell'ottocentesco Mercato Coperto, raccoglie invece i rinvenimenti archeologici provenienti dalla città e dall'area del Basso Verbano: le prime testimonianze archeologiche di età neolitica ed eneolitica, i reperti dell'importante stazione palafitticola dei Lagoni di Mercurago con il famoso calco di una ruota, i corredi funerari della cultura di Golasecca e della necropoli celtica di Dormelletto, i reperti romani (fra cui una statuetta di matrona assunta a logo del museo e un bella ara dedicata alle matrone, divinità galliche passate nel pantheon locale romano), infine le ceramiche e i vetri di produzione post-rinascimentale rinvenuti negli scavi per ampliare l'Ospedale cittadino.
Usciti dai musei, ci si può dedicare a scoprire le principali chiese cittadine. In cima a una scalinata, quella dei Santi Martiri, o di San Graziano, è di origini romaniche ma ha una facciata barocca e un interno goticheggiante. Custodisce reliquie dei Santi Martiri patroni di Arona: gli umbri Graziano e Felino e i comaschi Fedele e Carpoforo. San Carlo Borromeo le aveva fatte spostare nella chiesa di San Fedele a Milano, ma gli aronesi si ribellarono e una parte delle spoglie furono riportate in paese il 13 marzo 1576, giorno da allora celebrato ogni anno con la tradizionale festa del Tredicino. La chiesa conserva sopra l'altare maggiore si trova un capolavoro quattrocentesco di scuola leonardesca: la pala raffigurante la Madonna in trono fra angeli e santi, opera giovanile di Ambrogio da Fossano detto il Bergognone. Sono presenti anche un San Carlo di Palma il Giovane e opere di artisti della scuola del Veronese. Qui san Carlo celebrò la sua ultima messa, prima di rientrare a Milano dove morì di febbre la sera del 3 novembre 1584.
A brevissima distanza dalla chiesa si trova la Cappella Ossario Beolchi, gioiello dell'arte barocca commissionata nel 1683 dal mercante milanese Bartolomeo Beolchi come cappella funeraria per la sua famiglia, con grate floreali in ferro battuto e affreschi allegorici. E proprio accanto sorge la Collegiata di Santa Maria Nascente, la chiesa parrocchiale di Arona, consacrata nel 1488 (ma il campanile è romanico) e ultimata dal cardinal Federico Borromeo nel Seicento). Nell'interno, tardo ottocentesco, c'è una serie di sei tele dedicate alla Vergine di Pier Francesco Mazzuchelli detto il Morazzone e un importante polittico di Gaudenzio Ferrari (1511), raffigurante l'Adorazione del Bambino con il Padre Eterno e santi. Notevole l'organo, rifatto nel 1986 e utilizzato per il Festival Organistico Internazionale.
Percorrendo la via San Carlo si avvistano poi, su una falesia rocciosa alta un centinaio di metri a nord della città, i suggestivi resti della Rocca di Arona, o Rocca dei Borromeo. Fondata dai longobardi attorno all'anno Mille, è stata più volte distrutta e ricostruita, sino alle definitive devastazioni ordinata da Napoleone. Proprio qui, il 2 ottobre 1538, nella camera detta “dei tre laghi” (la forma a trapezio con tre finestre permetteva tre diverse viste sul Lago Maggiore), nacque Carlo Borromeo, quartogenito di Gilberto II Borromeo e della marchesa Margherita Medici, futuro vescovo di Milano e santo (la camera è stata ricostruita in un ambiente dietro l'altare maggiore della chiesa di San Carlo, sul piazzale della statua del “Sancarlone”). Dopo anni di quasi totale abbandono, dal settembre 2011, grazie ad un accordo con la famiglia Borromeo che ne resta proprietaria, il parco della Rocca è stato risistemato e riaperto al pubblico.
Testo di Roberto Copello; foto Getty Images.
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