Un borgo medievale, di lontanissime origini sannite e dall'aria pura, inerpicato lassù dove la Ciociaria incontra l'Abruzzo, alle pendici di montagne percorse nei secoli da da mercanti e monaci, da pellegrini e pastori. San Donato Val di Comino, in provincia di Frosinone a 728 mt di altitudine, ai piedi dei 1868 metri della Serra Traversa e in posizione dominante sulla Val di Comino e sulla conca del fiume Melfa, è un paese dalle tante anime. Un'anima montana, perché si trova all'interno del Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, costituendo un passaggio obbligato per chi voglia andare dal versante laziale a quello abruzzese attraverso i 1538 mt del passo di Forca d'Acero. Un'anima mediterranea, per l'olio di alta qualità che vi si produce. Un'anima sportiva, per le attività che vi si possono praticare all'aria aperta, dall'escursionismo allo sci e all'arrampicata, ma soprattutto perché la Val di Comino è una mecca del volo libero, dove correnti favorevoli consentono di lanciarsi con il parapendio e il deltaplano dodici mesi all'anno. Un'anima naturalistica, per le faggete di Forca d'Acero, e per gli animali che popolano il Parco nazionale, orsi marsicani e lupi, cervi e camosci. Un'anima artigianale, perché San Donato è noto da sempre come il paese degli scalpellini, che hanno costruito e decorato le case e vicoli del paese, arricchendolo da splendidi portali in pietra. E un'anima religiosa, per la devozione sentita e rispettosa che viene da secoli tributata al patrono locale, il santo vescovo Donato d'Arezzo, martirizzato nel 304 d.C. sotto Diocleziano, e anche a santa Costanza.
San Donato Val di Comino insomma offre molti motivi di attrazione. Per meglio dettagliarli si può partire proprio dal santuario di San Donato, il cui nucleo originario potrebbe risalire addirittura agli anni immediatamente successivi il martirio del santo vescovo, anche se la prima data certa pare il 778 d.C., quando il duca longobardo Ildebrando di Spoleto avrebbe ceduto la chiesa di San Donato all'importante abbazia benedettina di San Vincenzo al Volturno (è la ragione per cui ancora oggi il parroco si fregia del titolo di abate). Il santuario in ogni modo ebbe un grande sviluppo artistico e religioso dal Quattrocento, grazie anche all'arrivo in zona di mercanti toscani. Nel tempo la chiesa fu circondata da mura, facendone il “castrum sancti Donati”, che dal Cinquecento in poi si allargò ad ampliare un paese che nell'Ottocento contava cinquemila abitanti, prima di essere spopolato a causa di brigantaggio, terremoti ed emigrazione economica (oggi ne ha poco più di duemila). Nel Settecento intanto la chiesa era stata decorata da Gaspare Capricci con un ciclo di affreschi raffigurante la vita del santo, mentre sulla controfacciata veniva rappresentata la Cacciata dei mercanti dal tempio. Pregevole è anche la raccolta di ex voto del santuario, testimonianza delle numerose grazie attribuite a san Donato, cui ci si è sempre rivolti in particolare per guarire dall'epilessia, che in zona è detta anche “male di san Donato”. In paese si racconta che nel 1799 l'ufficiale napoleonico che voleva fare del santuario una caserma per i soldati francesi venne colpito da un attacco di epilessia, cadendo in ginocchio davanti all'altare del santo e convincendosi a cambiare idea... All'altare maggiore ancora oggi si impone in bella evidenza il simulacro del santo: per la festa patronale del 7 agosto, dopo la grande fiaccolata della vigilia, la statua del barbuto vescovo, vestito con paramenti rosso sgargiante e con in testa una tiara dello stesso colore, esce dalla chiesa e viene portata in processione a spalla per le vie del paese, accompagnato dai suoni della banda e dai rumori dei botti. A fine agosto invece sono notevoli anche la festa, la processione e il relativo antico mercato di santa Costanza, eletta nei secoli a compatrona del paese.
Si diceva poi degli scalpellini. Si devono al loro estro le tante chiavi di volta poste sui portali delle abitazioni del centro storico, a identificare la famiglia e il ceto sociale degli abitanti. Solo le famiglie più benestanti potevano permettersi di commissionare una chiave di volta ad artigiani locali che si chiamavano Tempesta, Di Bona, Fabrizio, Cardarelli, Mazzola, Cautilli, Cellucci. Grazie agli scalpellini sandonatesi, dopo la Seconda Guerra Mondiale il paese fu ricostruito più bello di prima, con ponti in pietra e fontane. E furono sempre loro a consentire la ricostruzione dell’Abbazia di Montecassino, che da San Donato dista solo 40 chilometri. Le difficoltà economiche del dopoguerra però spinsero molti di loro a emigrare negli Stati Uniti, soprattutto nel Massachusetts, dove hanno fatto di Quincey la “città del granito” (San Donato è anche gemellata con Boston). Vale dunque la pena di perdersi fra le case abbellite dai mastri scalpellini sandonatesi, sui cui portoni è spesso dipinto un “mascaron” che aveva lo scopo di allontanare il monacello, ovvero il fantasma di un bambino morto, presenza temuta nel folclore meridionale.
Nella salita al castello e alla torre quadrata medievale che dominano il paese dall'alto ci si inoltra così in un labirinto di pietra caratterizzato da tortuose stradine, piccole piazze e caratteristici passaggi coperti che nel dialetto local sono detti spuort': ci sono gli spuort' della peste, della provvidenza, delle origini, dell'alluvione, e anche quello di Fra' Tommaso, illustrato da due dipinti che mostravano la vita del cappuccino Tommaso di San Donato (1578-1648), al secolo Tommaso Ricci, nato in paese e morto in odore di santità a Napoli, dove è sepolto nel convento di Sant'Eframo Nuovo. Tra le reliquie i confratelli conservarono un'ampolla con il suo sangue, al cui contatto molti devoti ottennero grazie e prodigi miracolosi. Di lui, oltre che dei fatti miracolosi come la moltiplicazione di olio e vino che lo ebbero protagonista nella Napoli di Masaniello, resta il ricordo, tramandato dai contemporanei (fra i quali anche Gian Battista Vico), del radioso splendore del volto.
Risalendo la via Maggiore si incontra anche la pietra “dello scandalo”, dove nel Cinquecento si esponevano i debitori insolventi. Superata piazza Coletti con la sua meridiana del 1891, si entra nel borgo medievale attraverso la duecentesca Porta dell'Orologio, dove tre croci ricorderebbero tre banditi qui impiccati nel Cinquecento. Mentre ripide scalinate salgono al santuario di San Donato, lungo via Pedicata si può invece raggiungere il Duomo, dedicato a santa Maria e a san Marcello Papa, le cui origini risalgono al XIV secolo ma che fu ampliato e barocchizzato nel XVIII secolo. Da notare il coro e l'organo, realizzati a Subiaco da Cesare Catarinozzi. Sotto l'altare maggiore, un'urna di vetro conserva il corpo di santa Costanza, martire di epoca romana le cui spoglie sarebbero state trasportate qui nel Settecento dalle catacombe romane di San Callisto. Di fronte al Duomo si trova poi il settecentesco Palazzo Quadrari, che ha epigrafi romane lungo la parete dello scalone d'onore.
Diverse altre chiese caratterizzano il paese: quella della Madonna del Carmine e Sant'Antonio (Convento), di San Rocco, della Cappelletta, della Serola, del Divino Amore. Passeggiando per il paese ci si imbatterà anche in una stele memoriale con la stella di David. Ricorda il gruppo di 28 ebrei stranieri che dal 1940 al 1944 il regime fascista internò proprio a San Donato, dove furono ben accolti dai cittadini locali. C'erano fra loro personaggi di rilievo come Grete Bloch, un'amica di Franz Kafka, e l'attrice Grete Berger, che era stata una star del cinema muto tedesco. Il 6 aprile 1944 però 16 dei 28 ebrei (fra cui le due donne) furono catturati dai nazisti e mandati ad Auschwitz, da dove ritornarono vivi solo in quattro. Fra le vittime figurava anche la piccola Noemi Levi, una bambina di neppure due anni.
Testo: Roberto Copello - Per le foto, si ringrazia: Enzo Salvacci (foto grande header), Maurizio Pellegrini (skyline ovest, torre e via Maggiore),
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Articolo realizzato nell’ambito del progetto RESTA! –finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale del Terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese-Avviso n.1/2018